Carnefici by Pino Aprile

Carnefici by Pino Aprile

autore:Pino Aprile
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: Piemme
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


La strage nascosta: la Sicilia

Ma… e la Sicilia? Quando si leggono le cifre del prezzo in vite umane, libertà individuali, stupri e umiliazioni imposto ai meridionali per far l’Italia-una (una che prende e l’altra che le prende), ci si riferisce sempre e solo alla parte continentale del Regno, intendendo la fiera isola come esclusa dalla resistenza all’opera di conquista e annessione forzata al Regno di Sardegna, in nome dell’Unità del Paese (sì, il massacro di Bronte, ma ci hanno fatto un film, non basta?). Come poteva la Sicilia essere accomunata ai briganti che osteggiavano la santa causa e l’occupazione sabauda, se l’aveva invocata, sostenuta, accompagnata, aprendo le porte a Garibaldi e ai suoi, stando alla nota vulgata risorgimentale?

Infatti, nella parte continentale del Regno, «di qua dal faro», come si diceva allora, c’erano bande armate che battevano i monti, le campagne e le foreste, facevano la guerra ai soldati piemontesi e seminavano paura, disordini, taglieggiavano i grandi proprietari conniventi con il nemico.

In Sicilia, invece, «di là dal faro», pure; e talune di quelle bande divennero leggendarie e imprendibili per anni.

Ma «di qua dal faro», parte considerevole di quelle decine di migliaia di uomini erano latitanti, perché erano renitenti alla leva.

E «di là dal faro», invece pure. Anzi, in Sicilia la caccia ai giovani che si sottraevano al servizio militare obbligatorio (inesistente al tempo dei Borbone), fu condotta con tale durezza che forse non ebbe l’eguale nel continente. Più inferocivano, per cercare di prenderli, più si inducevano molti altri alla fuga. In Parlamento fu denunciato il caso di più di trecento uomini dello stesso paese che si dettero latitanti, quando i piemontesi arrivarono in forze per catturarne uno. «Le classi del 1840-41-42 avevano dato l’una 4.987 renitenti; l’altra 5.870, e l’ultima 8.241. A questi aggiungendo 7.027 disertori, si arrivava al numero spaventoso di 26.125 individui ribelli alla legge su tre sole classi di leva in una popolazione di poco superiore ai due milioni d’abitanti» scriveva Pietro Fea, nella biografia del generale Giuseppe Govone, pubblicata nella «Rivista Ufficiale», nel 1872.

Ma «di qua dal faro», quelle bande avevano rapporti strettissimi, sino a esserne asservite, con alcune grandi famiglie di proprietari, nei cui feudi avevano le loro basi, si nascondevano. Spesso a guidare quei gruppi armati e a farne parte erano massari, mandriani, guardie private di possidenti già sostenitori e beneficiati dei Borbone, con cui ricoprivano incarichi istituzionali locali e nazionali (uno zio omonimo di Giustino Fortunato fu pure primo ministro), e che passarono ai Savoia, quando la cosa apparve conveniente.

Al «di là dal faro», invece pure. Con alcuni casi che divennero così imbarazzanti, per i nuovi venuti, che suscitarono notevole e inutile scandalo (non accadde nulla). Come i Nicolosi di Lercara, che monopolizzavano ruoli istituzionali (sindaco, capo e dirigenti della Guardia nazionale, giudice), usavano la “loro” banda per vendette e prepotenze personali, ma anche per “sistemare” faccende di ordine pubblico in modo illegale, per conto delle autorità governative (da omicidi politici a sentenze pilotate, racconta Francesco Benigno ne La mala setta); per poi guadagnare



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